In treno, in viaggio verso la terra natia.
Leggo dapprima svogliatamente, poi con pathos sempre più crescente L’eleganza del riccio.
Arrivo all’ultimo capitolo. Scoppio in lacrime. Piango e leggo. Leggo e piango. Mi cola il naso; le lacrime mi corrono giù per il collo.
Nell’ordine, mi passano davanti il nostro vicino di posto, il controllore, una ragazza, due poliziotti fuori servizio. Tutti mi guardano con compassione e riservano uno sguardo accusatore al moroso, che, dopo gli ultimi due, un po’ allarmato decide di intervenire per arginare la crisi emotiva.
Comincia ad accarezzarmi, a fare le smorfie, a sussurrarmi stupidaggini nelle orecchie.
Io, inconsolabile nel mio pianto, frigno e continuo a leggere. Lui comincia con il solletico, con aneddoti buffi, con barzellette.
Io finisco il libro e comincio a calmarmi. Lui persevera nel suo compito nobile di risollevarmi l’umore. Per un po’ ci riesce. Per qualche istante il respiro si calma, riesco a prendere fiato, cullata dalle boiate che racconta il moroso.
Poi… il tasto dolente, il dito nella piaga, la pugnalata alle spalle…
Morosa, non essere triste! Ricordati che abbiamo due gattine a casa che ci aspettano.
Il moroso ha capito a sue spese e a furia di fazzoletti umidi che ricordarmi di aver lasciato due gattine da sole in appartamento, mentre noi torniamo in Italia, non è una mossa saggia…
ps. per quanto riguarda il libro… lo consiglierei. Un po’ pedante in alcuni punti. Ma, inaspettatamente per questi tempi e per la letteratura intimista moderna, con una dolce spolverata di ottimismo e di positività. Alla faccia dello snobismo paralizzato di tanti scrittori avvelenati di spleen.