Archive for October, 2007

in volo, ovvero come passa il tempo – 201

Messaggio di qualche minuto fa: Salamina, sono in aereo! Tra poco partiamo. Ti amo! Ora spengo. Un più!

Non addentriamoci nei labirinti sdolcinati e nei messaggi cifrati di questo sms. Il mio pensiero va a quell’aereo che sta per partire e sorvolare l’Oceano. Il mio pensiero corre a quella notte, in cui da sotto le coperte nel lettone con mio fratello, sentivo la sua voce così vicina eppure così lontana sì, amore: sono arrivato a casa della prof. Sì, amore tutto bene, il viaggio è stato lungo, ma ho pure conosciuto uno di Padova che viene a Madison per motivi di studio. Sì, la prof mi stava aspettando. No, non fa troppo freddo. No, non ho più tanto sonno: prima mi veniva quasi da vomitare per la stanchezza, ma adesso sto bene. E io mordicchiavo il lenzuolo e piangevo in silenzio perché eravamo così lontani e io sarei partita il giorno dopo per la mia avventura svizzera. Come farò senza di lui?, mi dicevo. Il mio pensiero va ai 18 euro che gli ho fatto spendere di cellulare tutti in una botta, perché piangevo e ero isterica perché non trovavo più la carta d’identità e ero qui a Losanna da sola. E se non la trovassi più, non potrò più tornare a casa?? E il moroso sempre lì, così vicino e così lontano. Il mio pensiero va alle giornate e alle serate passate in lab perché non avevo ancora la connessione internet a casa. Il mio pensiero va al bunker dove ha abitato per un anno, alla sensazione di oddio, ma fa paura qui… che ho avuto passeggiando per le vie di Madison di buon’ora la domenica del mio arrivo là. Il mio pensiero va… e sì, lo strozzerei a sentirgli dire che un po’ mi dispiace di andare via da qui: dopo tutto ci sono stato per un anno. Certo, gli dispiace per la francese, la guatemalteca, la brasiliana, l’americana, la polacca…

E con il pensiero accarezzo quell’aereo e penso che domani sarà qui… moroso, ti aspetto…

e adesso.. che si fa? – 200

La mia semplice vita. Problemi più grandi di me. Non c’è una risposta. Non c’è una cosa giusta da fare. Non c’è il consiglio perfetto. Non c’è una vita perfetta. Dibattuta. Confusa. Senza parole, soprattutto senza parole in lingua straniera.

Lui. Lui è un bambinone un po’ cresciuto, ma si diverte così, ad essere spensierato, libero, svincolato. Lui ha una morosa. Non abitano vicini. Il lavoro li ha allontanati dopo che hanno vissuto a lungo insieme. Vanno in vacanza insieme, si vedono nei weeekend.

Lei. Lei ovviamente è il contrario di Lui. Lei fatica ad inserirsi in un posto nuovo. Lei soffre di nostalgia. Lei pensa che la sua vita non la soddisfi, che ci voglia qualcosa per dare un senso. Forse ci prova anche a far capire a lui che vuole quel pizzico in più: non il brivido in più che solletica la vita di Lui, ma la sicurezza in più che darebbe radici a lei.

Chi lo sa cosa ha scavato nella mente e nel cuore di Lei. Chi lo sa cosa non ha letto Lui negli occhi di Lei.

Lei gli ha teso una trappola. O forse ha solo deciso di provare a vedere se ne era capace pure Lei. Per sei mesi non ha detto niente. Ma adesso, da 7 settimane qualcosa è cambiato. Lui non se lo aspettava, Lui si è fatto prendere dal panico. Quando poi ha saputo che Lei lo aveva fatto coscientemente, che non era stata una fatalità, qualcosa si è rotto dentro di Lui. Con gli occhi persi e lo sguardo rivolto al passato, alla strada fatta, Lui mi dice: “Non posso, non posso. Lei è un’altra persona. Se ha potuto farmi questo, cosa potrebbe farmi in futuro?”. Non gira mai la testa dall’altra parte, verso il futuro. Non pensa al bambino, al Suo bambino. “Deve assolutamente interrompere. Domani La vedrò, farò il gran bastardo e Lei si convincerà. E sarà tutto finito”. Io all’inizio rido di una risata isterica: proprio Lui.. non ci posso credere: il più bambinone, allegro, irriverente. Poi provo a dirgli che quel fagiolino nella pancia di Lei è anche suo figlio. Lui si chiude a riccio perché Lui rivuole la Sua vita, perché non è pronto a lasciare la Sua vita di prima e non vuole credere che Lei abbia potuto smettere la pillola senza dirgli niente per 6 lunghissimi, interminabili, felici mesi.

Lui ha fatto lo stronzo, L’ha spedita con il primo aereo a casa da mamma e papà, in un altro Paese. “Non posso stare più con te. Mi hai colpito alle spalle. Interrompi e ne riparliamo”. Lei non crede alle sue orecchie. Non si smuove. Piange. Aspetta in aereoporto per un pomeriggio intero, con i suoi occhi gonfi, il fazzoletto in mano e un fagiolino nella pancia. Lui mi capita in laboratorio di sabato pomeriggio. Gli chiedo come sta e penso dentro di me “come ti senti all’idea di essere papà di un bimbo che hai spedito lontano con la sua mamma quando è ancora un fagiolino?”. Lui mi risponde che è stato difficile essere bastardo, che Lei starà pensando a Lui come il peggior errore della sua vita, che Lui in altre circostanze avrebbe voluto un figlio con Lei.

Io lo guardo, guardo il suo sgardo lontano, su quell’aereo, su quei capelli, su quelle lacrime. Non capisco perché non possa provare a fare qualcosa di diverso dal chiudere la porta sbattendo. E lo lascio così, davanti al pc, mentre cerca di spiegare le Sue ragioni al padre di Lei e mentre pensa a cosa dire a sua mamma. “Mmm, sai quel maglione per Lei che stai sferruzzando da un po’? Beh, meglio che al posto di quello ne fai 10 piccini…”

Un bacio!

chi lo vuole un nichelino? – 199

Non è facile per me affrontare questo argomento. perché implica che confessi i miei peccati. E sarete tutti d’accordo che ci vuole coraggio ad autoimmolarsi sulla pubblica gogna….

Insomma, sapete più o meno tutti che frequento quel paradiso dei topi che è lo stabulario. E in qualche post datato si trova anche una dettagliata descrizione della procedura di vestizione, disinfezione, incappucciamento cui ci sottoponiamo noi, poveri umani che ci addentriamo nel mondo dei topi.

Tutto questo prevede ovviamente che indossiamo un camice. E questo camice, dopo l’utilizzo, viene riciclato (dopo opportuna autoclavatura) e rimesso in circolazione. Le nostre lavanderine di camici controllano sempre, da brave massaie, che non ci siano oggetti dimenticati nelle tasche dei camici. E gli oggetti dimenticati vengono riposti nell’anticamera dello stabulario in attesa del ricongiungimento con il padrone sbadato.

E’ stato così, che dopo una settimana che lo vedevo lì e nessuno lo prendeva, ho deciso di raccogliere quel soldino da 50 cent abbandonato e senza padrone. perché, diciamoci la verità, chi volete che si ricordi di aver lasciato 50 cent nella tasca di un camice???

Ma adesso, mi si ripropone il dilemma morale. Sono almeno 15 giorni che una piccola, deliziosa, insignificante monetina da 5 cent aspetta il suo padrone. E nessuno, nessuno, nessuno la raccoglie. perché, se non ci penso io a raccogliere le monetine che non sono mie, nessuno le prende perché potrebbero essere di qualcuno.

Così, la prossima volta che scenderò in stabulario, quei 5 cent finiranno nelle mie tasche: sapranno che sono di poco valore, ma che qualcuno ancora li accoglie fiducioso nel suo portamonete. E così, anche se non li vorrei, anche se non vorrei compiere il secondo furto nello stabulario, per colpa di questi Svizzeri onesti, ricadrò nell’errore, da peccatrice impenitente… Un bacio dalla vostra Occhi di Gatto!

il moroso e la schiera angelica – 198

Il moroso si appresta a tornare. Io lo aspetto con ansia: non conto i giorni solo perché se li conto mi pare che non passino mai e poi.. 24 ore sono lunghe da far scorrere. Così, le mie giornate sono scandite da tutti i piccoli dolenti doveri che mi stanno assillando in questo ultimo periodo. Un sacco di cose da fare, stress da prestazione, alienazione da statistica, crollo fisico da raffreddore. E il Suo ritorno brilla all’orizzonte e cedo alla facile tentazione di credere che quando ci sarà lui, sarà tutto diverso e, più precisamente, tutto migliore.

Bene: stasera ho capito perché non bisogna mai farsi prendere da facili entusiasmi. Il moroso vuole colonizzare la mia casetta con la sua nuova compagnia di amici…. guardate un po’ e ditemi se avete un retino da prestarmi! Un bacio!

i pro e i contro – 197

Confusa e stregata dai poteri oscuri dei test statistici di confronti tra medie e proporzioni, annebbiato il mio potere di giudizio e confidate tutte le mie speranze in una t di Student o un chi-quadro, stasera in doccia facevo due conti sui pro e i contro dello stare in Svizzera. perché lo so che non potete capire cosa significhi avere carta vetrata al posto di un naso e sentirsi il labbro superiore infarinato, perché la pelle è morta in profondità. Ma sta cosa mi fa sentire una faccia che non ho. Un disagio che mi porto addosso sempre, dentro e fuori casa. E sta cosa, sommata alla statistica, mi fa delirare.

I CONTRO DELLO STARE IN SVIZZERA:

  1. non mi sento più naso e bocca.. fra un po’ perderò la sensibilità di tutta la faccia;
  2. non c’è il bidet: lo voglio, disperatamente (soprattutto adesso che la sera vorrei mettere i piedi a bagno nell’acqua calda);
  3. si svegliano tutti troppo presto, sono troppo produttivi di mattina, mi sfiancano con queste partenze sprint e poi boccheggio per il resto della giornata.

I PRO DELLO STARE IN SVIZZERA:

  1. lo stipendio, ora e sempre. Non mi capiterà mai più di guadagnare così tanto in vita mia;
  2. se sono in ritardo, se sono l’ultima ad arrivare all’appuntamento, se sono addormentata di prima mattina.. sorrido bonariamente e dico che "sono italiana". Contro la genetica, io non ci posso fare niente;
  3. per farmi piacere, per farmi sentire a casa, per vantarsi delle poche parole di italiano che sanno dire, la gente mi saluta dicendo ciao bella. Ricevere complimenti del tutto ingiustificati è sempre una gran bella soddisfazione.

Ok, facendo due conti, regrediamo linearmente, approssimiamo, calcoliamo la p, consideriamo gli intervalli di confidenza, plottiamo, tracciamo, formuliamo l’acca-con-zero, mettiamo tutto nella tabella della significatività e.. ok, lampeggia solo un ordine: VA’ A LETTO E BASTA CAVOLATE PER OGGI! Mi rassegno: chiudo tutto e.. un bacio!

6&6 – 196

Motivi per ricordare il 22 Ottobre 2007:

  • ho cominciato l’ennesimo corso di statistica con la speranza, non ancora sopita, di poterci un giorno capire qualcosa e usarla per trarre dalla biologia delle "evidenze statisticamente significative";
  • ho finito di scrivere l’introduzione del mio report per l’intermediate-exam;
  • sono tornata a casa e il frigo era morto. Ho acceso il congelatore, che puzzava (ma io in casa ho solo aceto balsamico e non mi sembrava il caso di utilizzarlo per detergere gli scomparti del congelatore) e mi ha completamente gelato la casa. Non è che per caso lo sportello si chiude male, eh?;
  • ho il naso che resta appeso alla faccia solo per la cartilagine della punta: i vari strati di epidermide e derma sono ormai finiti nella spazzatura insieme ai fazzoletti di carta e ai miei virus del raffreddore;
  • ho acceso il termosifone della cucina, così stanotte mi si staccherà pure l’ultimo moncherino di naso: umidità dell’aria che si attesta attorno al 25%, vento freddo e imperturbabile, raffreddore, termosifone = caduta della prominenza nasale… rivoglio la mia palude padana;
  • oggi io e il moroso festeggiamo (a distanza, ovvio) i nostri 6 ANNI & 6 MESI di "morosità"…

Ecco, lasciatemi andare a letto con questo struggente bel romantico pensiero… uè, moroso: apri bene le orecchie. Questo è l’ultimo mesi-versario che festeggiamo a distanza. Avrò diritto anche io alla mia dose di coccole e a "qualche" regalo, no??? Un bacio!

una fetta di salame – 195

Ho dovuto pagare pegno. E’ stato il mio compleanno e ho dovuto portare un dolce. Non è facile scegliere che torta preparare perché il mio fornetto del Mulino Bianco alloggia a malapena un piatto.

Quindi, niente dolci cotti. E tra i dolci freddi volevo evitare qualsiasi dolce richiedesse piattini e cucchiaini perché mi toccava andare a comprarli! Niente tiramisù.

Voi lo conoscete il salame di cioccolato? Io l’ho sempre chiamato dolce salame, ma il moroso non smette di ridere quando lo chiamo così, quindi mi sono convertita alla sua nomenclatura padovana. Per chi non conoscesse il dolce, è essenzialmente un rotolo (a forma di salame, appunto) di biscotti OroSaiwa, cacao, zucchero, uova. Si frulla tutto, si impasta, si arrotola. Si prende un tagliere e si affetta. I miei compagni di lab hanno gradito.

Porto il culo del salame in ufficio dove Renuga, l’indiana con una montagnetta di topetti neri, sta lavorando.
Renuga, visto che venerdì è stato il mio compleanno, ho portato un dolce per festeggiare.
Mmm, interessante. Che dolce è?
Beh, la traduzione letterale del nome italiano è "chocolate salami"…

Mi interrompe bruscamente: Oh… allora, no. Mi dispiace, ma io non mangio maiale.

L’ho convinta che il suffisso salami serve solo a ricordare la forma, ma che nella composizione, GIURO, di maiale non c’è traccia. A quel punto abbiamo potuto mangiarne un fetta in santa pace. Ancora mi domando come sia riuscita anche solo ad immaginare che io avessi messo della carne di maiale in un dolce… Un bacio!

al servizio della Patria – 194

Chi crede che la Svizzera sia un Paese di mucche pacifiche? Beh, se avete annuito severamente, riflettendo su quanto sia affascinante questo Paese così storicamente neutrale, vi sbagliate di grosso.

In questo anno di permanenza, ho notato un profondo patologico senso di allerta in Svizzera. Non mi sento di condannarlo apertamente. perché si sa che sono quelli previdenti che si godono una casetta di mattoni mentre fuori il lupo soffia fino a farsi collassare i polmoni e la capanna di paglia e la casupola di legno sono andate distrutte. E capisco che sono fortunata ad avere un bunker sotto casa, dove potrò rifugiarmi coi miei coinquilini (avrei qualcosa da ridire sull’italiano del piano di sotto, ma in caso di pericolo un macho del genere fa comodo in cantina). Anzi, sono orgogliosa di poter accogliere nel bunker di casa anche i miei vicini, che sono meno fortunati di me perché non hanno l’antiatomico. Sì, tutto questo potrebbe essere eccessivo, ma previdente.

Quindi, come potevo credere che la Svizzera non avesse il suo esercito? Certo: è neutrale, ma mica sciocca. Deve difendersi dal rischio potenziale che a qualcuno il bocconcino sembri troppo succulento. Ed è così che scopro che i ragazzi svizzeri hanno l’obbligo della leva militare. Che l’obbligo di tale servizio permane fino al compimento dei 35 anni. Che i ragazzi sono tenuti a presentarsi all’Arma per 3 settimane l’anno. Che hanno tutti la loro pistola (leggenda vuole che la conservino a casa). E che, passati i 35 anni, debbano comunque presentarsi dopo tot anni al Comando per farsi vedere pronti.

Stephan viene da Luzern. Ha praticamente finito il suo dottorato. Ha fatto la discussione privata il 5 ottobre e da quel giorno non si è più visto. E’ passato dall’ufficio solo venerdì sera, quando si è presentato con una sacca militare e lo sguardo un po’ stanco. Stephan sta facendo le sue 3 settimene di guerra. Gli chiedo ingenuamente se usa le pistole e lui mi dice che la sua la nasconde in un angolo e per il resto del giorno è al computer a fare pianificazione degli attacchi (o delle difese). Fa lo stratega. Gioca alla guerra.

Entra Raj-l’indiano-bello che lo vede e ride:
Allora, come va? Dopo l’esame, sei sparito! Cosa hai fatto tutta la settimana?
Eh, sto difendendo la Patria.
??? E da cosa? Un’invasione di moschine?

Impagabile! Un bacio!

fammi sentire la lingua – 193

In questi giorni, sto frequentando un laboratorio nuovo. Diciamo che è prevista una formazione anche per noi poveri PhD student. E questa formazione, in questo particolare corso, consiste nel visitare altri laboratori.

A farmi compagnia ci sono Norbert e Francesco. Norbert è un ragazzo, alto, allampanato, lentigginoso, pallido, occhi azzurri e capelli biondi. Quando pensa, si mette una mano sul mento e guarda per aria. Ci mette 2 ore a prepararsi la mattina per uscire di casa. Così si sveglia tutti i giorni alle 6.30 per arrivare al lavoro alle 9. E’ tedesco. Francesco è moretto, capello corto, sguardo vivace, occhiali. Parla e ride spesso. Ha sempre voglia di caffè. E ci mette solo 20 minuti ad uscire di casa dopo essersi svegliato, perché ha ottimizzato i tempi in modo da restare a letto il più possibile. E’ ticinese.

E’ sempre bello parlare italiano con qualcuno. Alle volte serve solo per creare complicità. Altre, giusto per non fare fatica. Altre per dire cose che altrimenti non si potrebbero dire.

Anika è una bionda dallo sguardo fiero. Capelli biondi, bellissimi. E’ la ragazza che ci guida e assiste in questi 3 giorni di visita al suo laboratorio. E’ tedesca.

Sente me e Francesco parlare in italiano e domanda ma voi vi capite quando parlate?
Non ci posso fare niente: rido! Certo che ci capiamo: stiamo parlando italiano.
Ma l’italiano che parla lui è uguale al tuo?
Mmm, sì: è italiano. Stesse parole, stessa grammatica. E’ diversa solo la melodia.
E tu lo capisci lo stesso?
Certo: capisco anche quando parlano i toscani e si mangiano le c. L’italiano è UNA sola lingua: ci capiamo quando lo parliamo. Come si possono capire due persone che parlano tedesco.
Beh, io capisco solo un terzo di quello che dicono gli Svizzeri-tedeschi.

Interviene Norbert: Se è per questo, io non capisco nemmeno quando parlano i bavaresi.

Dopo poco arriva Michaelis. Scurissimo: abbronzato e peloso. Parla inglese con uno strano accento, soffermandosi sulle parole e sulle lettere come farebbe un italiano. Ma lui è greco. Mi guarda e dice: beh, tu che sei italiana dovresti sapere almeno parlare Greco antico, no? 

Gli ho spiegato che ho studiato solo latino e che non so parlare nemmeno quello. Figuriamoci il greco. Ora mi chiedo: cosa c’è di così difficile nel capire che l’italiano E’ UNA LINGUA e non un dialetto che parliamo solo per sfizio e per isolarci dal resto del mondo??? Un bacio!

affogo – 192

Qualcuno dall’Italia si preoccupa se non scrivo per un lungo intero weekend (vero, sorella?) Mettiamola così: è rigida questione di principio. Io non scrivo più nei weekend perché nessuno mi legge, perché i miei weekend sono impegnatissimi e piuttosto di farvi vedere che sono davanti al pc a cazzeggiare mi rotolo sul divano puzzolente per tutto il pomeriggio..

A dire il vero, questo weekend sono stata in lab a lavorare indefessa (o forse solo fessa…). Ho dato solo una rapida passatina di cattura polvere sul pavimento e ho lavato i piatti. Unica novità degna di nota, ho scritto le prime 30 righe del mio intermediate exam report. Ma quest’ultimo argomento è troppo doloroso, quindi cadrà nel vuoto e nell’oblio da dove proviene.

Giusto per rincuorare chi dall’Italia mi chiede se sono devastata (vero, sorella?) vi do un esempio rapido e disgustoso di quello che mi è successo stasera.

Vado in bagno. Non accendo la luce perché nel tempo che il neon impiega per accendersi, io ho finito di fare la pipì. Entro a luce spenta e con l’iPod nelle orecchie che spara musica a tutto volume. Rapida pipì, mi alzo e… ORRORE, SCHIFO, RACCAPRICCIO, DISGUSTO!

Racconto il mio film dell’orrore al moroso che prontamente riassume la situazione come segue: o l’asciugamano era nel water, o ti ci sei seduta sopra oppure hai provato a farla in piedi. quale delle tre?

Ora so che vi starete chiedendo come ci è finito l’asciugamano nel water. Tutto quello che dirò non vi toglierà dalla faccia quello sguardo orripilato-biasimante. L’asciugamano deve essere scivolato nel water stamattina, dopo la doccia. Non so come sia successo. Io non ho guardato il water; l’iPod mi ha insonorizzato dall’esterno. Ma giuro solennemente che NON farò MAI PIU’ la pipì sull’asciugamano. Ora vado a letto che è meglio. Compatitemi, se potete… Un bacio!