Archive for November, 2008

l’epopea di un diploma – 342

Mi sono laureata il 28 Marzo 2006. All’epoca, la mia università mi richiese il pagamento (anticipato) delle spese per la realizzazione del diploma. Spese che ho pagato per avere il famoso pezzo di carta.
Fino a Novembre 2008 non ho avuto alcuna notizia del mio diploma di laurea. Ho smosso mezzo mondo nell’autunno dello scorso anno, perché la segreteria della mia scuola di dottorato richiedeva il diploma originale al momento della definitiva immatricolazione. E io non lo avevo ancora. Non sono riuscita a cavare un ragno dal buco. La segreteria ha latitato più che ha potuto e mia mamma li ha chiamati tutti (forse il rettore no… peccato…). Ironia della sorte il mio caso umano ha scosso gli svizzeri, che miracolosamente mi hanno concesso una proroga, ma non ha minimamente scalfito la mia università.

Ad inizio mese ho ricevuto la fantomatica lettera. Il vostro diploma è pronto. Per la consegna del diploma è necessario che Lei si rechi personalmente … presso la sede delle Segreterie Studenti nei seguenti orari: lunedì – martedì 10-12; martedì 10-12.30 e 15-16.30; giovedì 10-15 (giornata del cittadino). Qualora Lei fosse nell’impossibilità di provvedere direttamente potrà delegare ad una persona di fiducia … Infine, nel caso non potesse avvalersi di un delegato, potrà chiedere la spedizione del Suo diploma. La invitiamo a ritirare, entro il termine massimo di un mese dalla data delle presente, il Suo diploma originale di laurea. Il mancato ritiro del diploma entro il termine sopra indicato comporta la conseguente archiviazione dello stesso.

Ora, lasciatemi fare alcune considerazioni.
1. complimenti a chi ha inventato la giornata del cittadino. Orario 10-15. Quale grande concessione. Grazie, o segreterie degli studenti: i padovani gioiranno di questo orario. Io, personalmente, me ne frego. Tutte le persone che conosco a quell’ora sono al lavoro e non possono fare "un salto" a Padova per deliziarvi con la lora presenza.
2. ho aspettato 2 anni e mezzo per avere questo diploma. L’ho pagato due anni e mezzo fa. Tempo un mese e loro cosa fanno? Me lo archiviano. Cosa succeda dentro questi archivi, solo Dio lo sa. Forse lo vendono in nero a qualcuno, passandoci sopra il bianchetto. Grazie, o segreterie degli studenti, per dare casa al mio diploma nel caso io mostrassi disinteresse nei suoi confronti.
3. per fortuna che esiste la spedizione. Grazie, o segreterie degli studenti. Io me lo faccio spedire. La frase la sottoscritta autorizza, sotto la propria responsabilità, alla spedizione è, però, piuttosto inquietante. Mi sorge il dubbio, a questo punto, che il mio diploma sia più sicuro nell’archivio polveroso. Who knows… Lo vedrò mai?

Sono nervosa in questo periodo. Salto via come una molla tesa. Non sto chiedendo nessun favore alla mia Università. E’ un mio diritto avere quel pezzo di carta. Ho pagato, ho aspettato. Chiaramente è colpa mia se mi trovo in questa situazione. perché è esclusivamente colpa mia se non sono seduta sulla porta di casa ad aspettare le bizze della segretaria. Ora, però, scusatemi. Ho perso fin troppo tempo. Devo andare in camera mia a pensare al mio povero diploma che probabilmente in questo momento viaggia in mezzo ai pericoli, in un fragile imballaggio cilindrico.

coff coff coff – 341

Alle 4 mi sono svegliata. Tossisco un po’. Continuo a tossire. Mi prende un attacco di allergia. Starnutisco. Bevo un po’ di Coca Zero. Vado in bagno. Mangio due caramelle SantaSapina, per calmare la tosse. Mi cola il naso. Mi fa prurito un orecchio. Tossisco. Tossisco forte e gratto. Più tossisco, più la trachea mi si irrita, più tossisco. Medito sulle mie colpe. Mai desiderare di ammalarsi solo per farsi qualche giorno di riposo se non si è in grado di gestire la propria coscienza. Il risultato sarà drammatico: andare al lavoro da ammalati. Illumino la faccia del moroso, che dorme e russa, con la luce del cellulare. Gli tossisco su un orecchio. Non reagisce se non russando più forte. Mi pento del casino che faccio, perché il moroso non sente, ma probabilmente i vicini di casa sì. Mi alzo dal letto. Vado in cucina. Scaldo il latte. Bollente. Aggiungo un cucchiaio abbondante di miele e io odio il miele. Torno sotto le coperte. Bevo un sorso ogni volta che mi viene da tossire. Ma la tosse non si calma. Mi concentro nuovamente sul moroso. Comincio a fargli i grattini sulla schiena. Sulle braccia. Un po’ protesta. Si rigira nel letto. Comincio a parlargli, tanto per farmi compagnia. Parlo, e lui dorme. Dormi? Lo sai che russi? Lo sai che mi hai rubato tutte le coperte? Che bello sarebbe se adesso ti svegliassi e mi accarezzassi così come io sto facendo con te. Secondo te, cosa devo fare con questa tosse? Mi porti dal dottore domani? Eh? Ma lo sai che io ti amo? Lo sai che ti amo tanto? Lo sai che ti amo più di te e quindi io vinco?

Un grugnito si leva dalle coperte. Masticandosi le parole, mezzo in trance, il moroso apre gli occhi e risponde contrito tu non hai vinto: ho vinto io. E comunque, smettila di accarezzarmi: mi fai il solletico e dormo male.

Morale: 1. il solletico non è sufficiente a svegliare il moroso. lo fa solo dormire male. 2. per svegliarlo, punta sul suo orgoglio e digli che ha perso. Miracoloso. Un bacio!

siamo alla ricerca – 340

Sono contro corrente. Sono maledettamente contro corrente.
Faccio ricerca, ma se mi si chiede cosa ne penso dei tagli alla ricerca in Italia la prima cosa che penso è "di soldi alla ricerca in Italia ce ne sono ancora troppi. E la prova è che ne prendono cani e porci".

Nel nostro Paese non mancano solo i soldi. Manca la meritocrazia.
A noi non resta che assistere alla perversa corsa al ribasso del nostro Paese.

il regno delle cose perdute – 339

I miei non soffrono per la mia lontananza. I miei ne traggono motivo di consolazione.

Tutto è cominciato con i pennarelli grossi di mio fratello. Chiara, sono spariti. Non è che per caso li hai portati lì in Svizzera? Certo, mamma. Li ho portati qui per fare un murales in soggiorno. Davvero? Allora, riportali a casa che servono a tuo fratello. No, mamma. Scherzavo. Non ho motivo per avere i pennarelli di mio fratello. Eppure, qui non ci sono. Li devi avere tu.

Quindi è stato il turno dei miei stivaletti di camoscio. Sono lì. Ce li hai nell’armadio, sotto il letto, nella scarpiera, nel mobiletto del bagno. No, mamma. Sono a casa. Li hai tu. No, ti assicuro che li ho visti. Erano da te. Cercali. Cercali. Cercali.

Poi è toccato al caricabatterie del cellulare della mamma. Lo hai tu? No, mamma. Non ce l’ho. Sì, ce lo hai tu. Qui non c’è. Non ce l’ho. Io non ce l’ho, mi hai capito? Sì, ce lo hai tu! …. Ok, mamma. Ce l’ho io. Vedi? Lo sapevo! Me lo spedisci?

Qualche settimana fa, abbiamo raggiunto l’apice. Chiara, per caso, hai preso tu i tortellini dal frigo di tua sorella? Io? Sì. Tua sorella ha perso un pacchetto di tortellini: li hai presi tu? No. Ma sei sicura? Magari li hai mangiati quando andavi a fare da cat-sitter a Cino. No. Io non ho mangiato i tortellini. Li ho visti. Ho capito: li hai mangiati tu.

Una volta, quando perdeva le cose, la mamma recitava devotamente i pater noster e la novena di Sant’Antonio. Ora, alza la cornetta del telefono, mi dà la colpa e di botto, si rasserena. Un bacio!

la fine dei pagliacci – 338

In questo giorni ho lo slancio irrefrenabile di saltargli al collo. Certo: per strappargli la giugulare.
Lui e il suo carattere, clownesco e malato. Lui sopra le righe, esagerato, teatrale, maldestro e sempre in prima fila. Lui: inetto e falso sul lavoro, disastrosamente incapace di un minimo di organizzazione, chiassoso e elefantiaco anche nel fare la cosa più graziosa. Gli ho lanciato dietro così tanti anatemi in questi giorni, che quasi mi sono sentita in colpa a vederlo zoppicare oggi in corridoio. Salvo poi pentirmene qualche secondo dopo, una volta capito il gioco del sono venuto al lavoro per un’ora anche se stavo tanto male: ora torno a casa e tutti crederete che io sia un eroe stakanovista. Tutti tranne me, chiaramente.

Credo sia per questa mia assoluta incapacità di inchinarmi alla sua simpatia dilagante, di dargli anche la seppur minima soddisfazione, che lui ci prova continuamente. Ci prova a fare il simpatico con me, a fare le sue scenette di cabaret, a fare finta di essere ora il ricercatore serissimo e iper-produttivo, ora il degno erede di un pagliaccio del circo di paese. Ma essendo stupido, non riesce proprio a capire che con me NON ATTACCA.

Qualche giorno fa, mentre io meditavo di scioglierlo nell’acido cloridrico, mi ha fatto l’offesa più grande che potesse mai uscirgli da quella boccaccia: oh, Chiara, non ci crederai ma io ero esattamente come te quando ero PhD student. Ecco, bravo! Hai detto bene: infatti, NON CI CREDO.

Mercoledì, dopo aver gloriosamente conquistato la platea di ascoltatori al mio seminario, lui mi ha preso in disparte e mi ha detto mi dispiace, Chiara. E’ andato proprio male: troppo difficile, la gente non ha capito niente. Dovevi fare così, colì, colà… frillallerofrillallà.

C’è un motivo se è ancora vivo. Ed è il seguente. La nostra collega americana ci ha visti parlare, si è avvicinata e ha detto E’ proprio un peccato, Gigio, che tu non sappia fare dei seminari così chiari e ben riusciti come quelli di Chiara. Ecco, è vivo perché così, ogniqualvolta io dovrò fare un seminario, la sua presenza ricorderà a tutti gli altri quanto lui sia peggio di me. O, ancora più gratificante, quanto io sia meglio di lui.

gestione dello stress – 337

Io: eh, lo so dottore. Sono ingrassata. Lo so che non fa bene al mio cuore. Sono stata una stupida. Mi sono lasciata andare. Ho perso il controllo. Ho lasciato che tutto andasse a rotoli.

Dottore: Signorina, il fatto che lei sia ingrassata mi dice solo che lei conduce una vita immonda. Immonda, non è vero? Che durante il giorno non ha il tempo di sedersi e mangiare. Che prende le prime cose che trova, possibilmente le più caloriche che esistano, che le sembrano addolcire la sua vita, che altrimenti le parrebbe insensata. Che la sera torna a casa e non ha più forze da dedicare a se stessa, perché tutta la sua energia si è esaurita al lavoro. Che le pare un suicidio chiedere al suo corpo di concludere la giornata dentro una palestra, quando l’unica cosa che vorrebbe è un letto. Che ci sono pochi piaceri nella sua giornata e lei decide di concedersi almeno qualche sfizio, almeno qualche immediata dolcezza. Signorina, non si deve scusare per quello che è, per quello che fa. Forse qualcuno dovrebbe scusarsi con lei. Allora, chi è il colpevole?

Io: Beh… il colpevole?…. i colpevoli, forse… Ecco: i colpevoli sono i miei topi. Senza dubbio.

E giusto perché sono piuttosto acida in questi giorni, ci aggiungerei anche metà dei miei colleghi di lab. E pure il capo. Per fortuna che c’è il moroso… 🙂 Un bacio!