il regno delle cose perdute – 339
I miei non soffrono per la mia lontananza. I miei ne traggono motivo di consolazione.
Tutto è cominciato con i pennarelli grossi di mio fratello. Chiara, sono spariti. Non è che per caso li hai portati lì in Svizzera? Certo, mamma. Li ho portati qui per fare un murales in soggiorno. Davvero? Allora, riportali a casa che servono a tuo fratello. No, mamma. Scherzavo. Non ho motivo per avere i pennarelli di mio fratello. Eppure, qui non ci sono. Li devi avere tu.
Quindi è stato il turno dei miei stivaletti di camoscio. Sono lì. Ce li hai nell’armadio, sotto il letto, nella scarpiera, nel mobiletto del bagno. No, mamma. Sono a casa. Li hai tu. No, ti assicuro che li ho visti. Erano da te. Cercali. Cercali. Cercali.
Poi è toccato al caricabatterie del cellulare della mamma. Lo hai tu? No, mamma. Non ce l’ho. Sì, ce lo hai tu. Qui non c’è. Non ce l’ho. Io non ce l’ho, mi hai capito? Sì, ce lo hai tu! …. Ok, mamma. Ce l’ho io. Vedi? Lo sapevo! Me lo spedisci?
Qualche settimana fa, abbiamo raggiunto l’apice. Chiara, per caso, hai preso tu i tortellini dal frigo di tua sorella? Io? Sì. Tua sorella ha perso un pacchetto di tortellini: li hai presi tu? No. Ma sei sicura? Magari li hai mangiati quando andavi a fare da cat-sitter a Cino. No. Io non ho mangiato i tortellini. Li ho visti. Ho capito: li hai mangiati tu.
Una volta, quando perdeva le cose, la mamma recitava devotamente i pater noster e la novena di Sant’Antonio. Ora, alza la cornetta del telefono, mi dà la colpa e di botto, si rasserena. Un bacio!