cyborg
Si dice che debba il suo nome alla protagonista di un film che suo papà, parecchi anni or sono, vide prima della sua nascita.
Della sua infanzia non racconta molto, se non che mangiava pochissimo e per questo, è rimasta bassa. Ne rimangono delle foto che la ritraggono con la testona grossa che non ha mai perso e dei capelli, francamente inguardabili.
Tra le sue passioni giovanili, la moto e Leopardi. Tra le cose che ha sempre ricordato con orrore, lo studio del latino (e la sua prof.).
Sposatasi giovane, toccata dalla tradizione “troverai il tuo futuro marito al matrimonio di un’altra”, ha cominciato a fare la maestra elementare, professione che esercita tuttora.
Dopo qualche anno di matrimonio, la prima figlia, un tesoro di compostezza e garbo. Dopo pochi anni, la seconda figlia, un tripudio di lacrime, pianti e mal di gola. Si dice che questa seconda figlia abbia particolarmente afflitto l’armonia della paciosa famiglia. Tanto che sono passati quattordici anni prima dell’arrivo della pulcetta, quando tutti ormai davano per scontato che la famiglia avesse imboccato decisa la strada della maturità.
Se penso alla mia infanzia, la mamma la colloco in cortile da mia nonna, con cavalletto, tavolozza e pennelli, intenta a dipingere. La vedo fare il riposino pomeridiano sul mio letto, mentre io gioco sul tappeto ai suoi piedi, alzandomi ogni tanto per controllare se davvero dorme o fa finta. La vedo mentre corregge i compiti o la sera, quando torna dalle riunioni, portandomi in regalo un Topolino da leggere. La vedo mentre mi prepara dei fermagli per i capelli, pieni di nastrini e roselline o quando cerca di mettermi in testa dei cerchietti che non stanno perchè da lei, almeno la testa grossa, l’ho ereditata.
Con la sua testa grossa e i capelli impresentabili, mi è stata accanto negli anni, sempre un passo indietro. Non ha perso il suo sguardo indagatore, un po’ severo, terribilmente accigliato: quello sguardo che lei si ostina a giustificare con la sua scadentissima vista e i suoi occhiali inadatti. Non ti sto guardando male: sto solo cercando di metterti a fuoco.
Il passare del tempo non l’ha scalfita più di tanto. Certo, ha accumulato tutte le malattie e le paranoie della sua età, ma come dice papà, ha ben pensato di condividere tutto con lui. Prima l’ipercolesterolemia, poi l’ipertensione, infine la perdita di vista.
Quando sono venuta a stare in Svizzera, non ha battuto ciglio. Mentre a papà si riempiono gli occhi di lacrime ogni sacrosanta volta che salgo su Quel treno, lei sorride composta e torna tranquilla alla solita vita tirandosi dietro pulcetta e papà, gli uomini di casa. Al telefono, quando lamento incubi sulla perdita di tutte le persone care, lei minimizza e mi dice di non farne una malattia.
Questo le è valso il soprannome di cyborg, la donna dal cuore d’acciaio.
Due giorni fa, il cyborg si è rotto una gamba. Oggi, d’acciaio , non ha solo il cuore, ma anche una placca nel perone destro (o è il sinistro?). Mi fa strano chiamarla e sentirla ora piagnucolosa, ora spaventata, ora strozzata dal dolore. Mi fa strano sentire la pulcetta dirmi no, stava male prima, ma adesso con la morfina sta da dio. Mi fa strano non essere là, aver saputo dell’incidente da un sms di papà che ho letto con circa tre ore di ritardo. Mi fa strano che mia mamma stia male e desideri che io sia a casa con lei a Natale. Mi fa strano vederle dentro, dopo che per tutti questi anni, il dentro lo ha sempre tenuto nascosto. Mi fa strano. Mamma, se leggi, sappi che sono orgogliosa di te, che sei più forte di quello che credi di essere, che da oggi, con un pezzo di metallo in più nel corpo, non potrai che essere un cyborg migliore.